Azione, 28 ottobre 2008
Il vento di Vanni Bianconi
Una bella notizia, che a una minoranza ristretta farà piacere! Una notizia non comparabile comunque – vedere i giornali di casa nostra – a quella di un raffreddore o un mal di gola a un campione, locale o no, dello sport. Una bella notizia è che l’albero della poesia giovanile sta dando, nel Cantone Ticino, buoni frutti. «Azione» ha procurato di segnalare, dent per dent, di tanto in tanto, latino interdum, alcune buone «apparizioni» di giovani poeti, anche per dire un esplicito o implicito grazie a editori che li stampano. In particolare a chi gestisce piccole case editrici, come «alla chiara fonte» (Vals, Viganello), «Ulivo» (Alda Bernasconi, Balerna)...
L’ultima pubblicazione arrivata (cronologicamente) non è un’opera prima. È, del trentunenne Vanni Bianconi, Ora prima. Sei poesie lunghe, Bellinzona, Casagrande, sett. 2008, 16 fr. Il giovane poeta è del minusiense ceppo dei Bianconi: figlio di Sandro, il linguista, nipote dunque di Giovanni, poeta, silografo, studioso della civiltà contadina; legato dunque con Piero, fine scrittore, storico dell’arte, traduttore e via enumerando. Tra i giovani, Vanni Bianconi pare il meglio preparato; anche se la poesia sopporta con disagio classifiche di tipo tennistico o pugilistico (ma neppure Dante poteva o voleva sottrarsi a certe classifiche: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura. / Così ha tolto l’uno a l’altro Guido / la gloria de la lingua; e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido». ( Purg. XI, 94-99).
Senza più fare distinzioni tra giovani e non più giovani, Vanni Bianconi ha un buon posto tra i migliori versificatori della Svizzera italiana.
La sua fresca raccolta è divisa in sei parti. La prima ha un titolo (e il primo verso) che vien via (così è se vi pare) da Dylan Thomas, dal titolo di uno dei deliziosi racconti (o conversazioni radiofoniche per la BBC, tra 1945 e 53) che hanno quale titolo collettivo Molto presto di mattina, tradotto dalla Einaudi nel 1964.
Di levità alla Thomas (levità non è da tradurre con facilità) è la poesia forse più bella della raccolta, Spalancato e scuro, che si trova alla fine del libro. Sono cinque strofe di sei versi, cinque endecasillabi (o quasi) e un conclusivo adonio, cinque sillabe: come per il verso conclusivo della strofa saffica: «ride confusa» è musicalmente fratello di «nomina ponto», Orazio IV, 2: Spalancato e scuro per non essere visto / l’occhio è tuo, amore – la tua sistole / di ciglia mi fa vedere linee aliene, / il metro di alberi, le rime del lago costeggiato, / l’inizio che è il riflusso di una fi-ne, tuo è lo iato.
Se il libro finisce bene comincia altrettanto bene (dico per la orchestrazione). La prima poesia che si incontra è un sonetto all’inglese, dunque 12 + 2 o, se volete, (4 x 3) + 2, con rima solo nel distico finale. Il sonetto celebra, direi all’inglese, la contrapposizione quotidianità «Sempre», la sveglia, il risveglio, la routine, medesima è la strada... Qui non fa ancora la sua comparsa, ma non è lontano, il vento che irromperà portando ondate di «vita»...: «vento d’occhio che increspa / poi si alza caldo col gabbiano di un balcone...».
Vento, luoghi di viaggio, e anche: che luoghi! Kosovo, Sarajevo, Roma, Città del Messico, Patmos, anche Locarno, Mostar, Bosnia, anche Zurigo. Anche la Svizzera, che non è, come in Dürrenmatt, non è una prigione, ma: La Svizzera è un paese rosso come / è la speranza, rosso come è / la fottuta speranza, sì speranza.
Speranza per chi? Il fatto è che non bisogna prendere questi nomi come luoghi geografici. Prendi Mostar. Mostar non è il luogo di partenza di un bollettino di guerra. La parolaMostar è un palinsesto, una pergamena (pelle di pecora uccisa) su cui più mani umane hanno scritto un loro testo. Bellezza e atrocità e guerra che è per definizione (Kafka) mancanza di fantasia. Il poeta non è un corrispondente di guerra. È un paleografo, un filologo, un... che cerca, non con acidi che bruciano la pergamena, ma con ricerche amorose, di portare alla luce il più che si può, di «testi» nascosti nel palinsesto.
10 nov 2009
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