10 nov 2009

Recensione di Giovanni Orelli

Azione, 28 ottobre 2008

Il vento di Vanni Bianconi


Una bella notizia, che a una minoran­za ristretta farà piacere! Una notizia non comparabile comunque – vedere i giornali di casa nostra – a quella di un raffreddore o un mal di gola a un campione, locale o no, dello sport. Una bella notizia è che l’albero della poesia giovanile sta dando, nel Can­tone Ticino, buoni frutti. «Azione» ha procurato di segnalare, dent per dent, di tanto in tanto, latino interdum, al­cune buone «apparizioni» di giovani poeti, anche per dire un esplicito o implicito grazie a editori che li stam­pano. In particolare a chi gestisce pic­cole case editrici, come «alla chiara fonte» (Vals, Viganello), «Ulivo» (Al­da Bernasconi, Balerna)...
L’ultima pubblicazione arrivata (cronologicamente) non è un’opera prima. È, del trentunenne Vanni Bianconi, Ora prima. Sei poesie lun­ghe, Bellinzona, Casagrande, sett. 2008, 16 fr. Il giovane poeta è del minusiense ceppo dei Bianconi: fi­glio di Sandro, il linguista, nipote dunque di Giovanni, poeta, silogra­fo, studioso della civiltà contadina; legato dunque con Piero, fine scritto­re, storico dell’arte, traduttore e via enumerando. Tra i giovani, Vanni Bianconi pare il meglio preparato; anche se la poesia sopporta con disa­gio classifiche di tipo tennistico o pugilistico (ma neppure Dante pote­va o voleva sottrarsi a certe classifi­che: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scu­ra. / Così ha tolto l’uno a l’altro Gui­do / la gloria de la lingua; e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido». ( Purg. XI, 94-99).
Senza più fare distinzioni tra giova­ni e non più giovani, Vanni Bianconi ha un buon posto tra i migliori versifi­catori della Svizzera italiana.
La sua fresca raccolta è divisa in sei parti. La prima ha un titolo (e il pri­mo verso) che vien via (così è se vi pare) da Dylan Thomas, dal titolo di uno dei deliziosi racconti (o conver­sazioni radiofoniche per la BBC, tra 1945 e 53) che hanno quale titolo collettivo Molto presto di mattina, tradotto dalla Einaudi nel 1964.
Di levità alla Thomas (levità non è da tradurre con facilità) è la poesia forse più bella della raccolta, Spalan­cato e scuro, che si trova alla fine del libro. Sono cinque strofe di sei versi, cinque endecasillabi (o quasi) e un conclusivo adonio, cinque sillabe: come per il verso conclusivo della strofa saffica: «ride confusa» è musi­calmente fratello di «nomina ponto», Orazio IV, 2: Spalancato e scuro per non esse­re visto / l’occhio è tuo, amore – la tua sistole / di ciglia mi fa ve­dere linee aliene, / il metro di al­beri, le rime del lago costeggiato, / l’inizio che è il riflusso di una f­i-ne, tuo è lo iato.
Se il libro finisce bene comincia al­trettanto bene (dico per la orchestra­zione). La prima poesia che si incon­tra è un sonetto all’inglese, dunque 12 + 2 o, se volete, (4 x 3) + 2, con ri­ma solo nel distico finale. Il sonetto celebra, direi all’inglese, la contrap­posizione quotidianità «Sempre», la sveglia, il risveglio, la routine, mede­sima è la strada... Qui non fa ancora la sua comparsa, ma non è lontano, il vento che irromperà portando on­date di «vita»...: «vento d’occhio che increspa / poi si alza caldo col gab­biano di un balcone...».
Vento, luoghi di viaggio, e anche: che luoghi! Kosovo, Sarajevo, Roma, Città del Messico, Patmos, anche Lo­carno, Mostar, Bosnia, anche Zuri­go. Anche la Svizzera, che non è, co­me in Dürrenmatt, non è una prigio­ne, ma: La Svizzera è un paese rosso co­me / è la speranza, rosso come è / la fottuta speranza, sì speranza.
Speranza per chi? Il fatto è che non bisogna prendere questi nomi come luoghi geografici. Prendi Mostar. Mo­star non è il luogo di partenza di un bollettino di guerra. La parolaMostar è un palinsesto, una pergamena (pel­le di pecora uccisa) su cui più mani umane hanno scritto un loro testo. Bellezza e atrocità e guerra che è per definizione (Kafka) mancanza di fan­tasia. Il poeta non è un corrisponden­te di guerra. È un paleografo, un filo­logo, un... che cerca, non con acidi che bruciano la pergamena, ma con ricerche amorose, di portare alla luce il più che si può, di «testi» nascosti nel palinsesto.

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